Quando il PD disboscava due ettari di bosco nel centro di Bologna

Un articolo per non dimenticare.
Per non dimenticare che nel 2017 il comune di Bologna voleva realizzare un mastodontico e grottesco progetto cementificatorio nel più grande polomone verde del centro di Bologna, ovvero i Prati di Caprara (47 ettari), con  tanto di 1.300 unità abitative, una scuola, un parco e un outlet della moda.

Iniziò con il disboscamento di due ettari del bosco per costruire questa benedetta scuola. E’ si! Perchè una scuola va costruita proprio nel bel mezzo dell’unico bosco urbano di Bologna. L’allora sindaco del PD Virginio Merola sventolava l’opera come “uno dei tasselli fondamentali delle politiche urbanistiche di questa amministrazione, perché prevede di riqualificare un’area lasciata all’abbandono con conseguenti fenomeni di degrado“.

 

Ora, nel 2024, dopo grandi battaglie di una parte della città, pare che la scuola non si voglia più fare (intanto gli alberi non ci sono più), ma non preoccupatevi, altri progetti di forte cementificazione sono ipotizzati sull’area dei Prati di Caprara ovest!

 

 

 

 

Centri Sociali for Dummies

un testo per spiegare cosa è un centro sociale e sfatare falsi miti

 

In questo testo si risponderà alle seguenti domande:

  • Cosa è un centro sociale autogestito?
  • Come sono organizzati i centri sociali autogestiti?
  • Perchè i centri sociali autogestiti sono (spesso) sporchi?
  • Dove finiscono i soldi dei centri sociali autogestiti?
  • Cosa si intende con Autogestione?
  • L’illegalità può essere positiva?
  • E se succede qualcosa? Chi si prende la responsabilità?!
  • Perchè il tuo Esercizio Commerciale non deve sentirsi in competizione con un centro sociale autogestito?
  • Perchè i centri sociali autogestiti sono pieni di gente “strana”?

Introduzione

Frequentiamo centri sociali autogestiti (C.S.A.) o spazi occupati (C.S.O.A.) da molti anni, ma spesso quando ci rapportiamo con il mondo al di fuori dalla nostra bolla, sentiamo illazioni, accuse e falsità a volte anche da persone a noi molto vicine, da cui non ci saremmo mai aspettate certe parole. Pensiamo di utilizzare il tempo della nostra vita in uno dei modi più nobili che conosciamo eppure veniamo criticat* in continuazione.

Forse le persone che criticano sono semplicemente persone poco informate.

Per questo ho voluto buttare giù con l’aiuto di varie e vari amic* questo semplicissimo opuscolo cercando di scrivere con una terminologia divulgativa per essere compreso dai più. Sono cosciente che questa lettura farà drizzare i capelli a molt* militant*.

Non approfondirò in questa sede molti argomenti come anche le necessità politiche degli spazi sociali. Questo opuscolo vuole essere solo una facile prima lettura per chi non si è avvicinato/a più di tanto a queste pratiche e vuole capirne qualcosa.

Premetto anche che questo testo descrive organizzazioni e centri sociali che ho conosciuto, che si rifanno al pensiero e alle pratiche dell’anarchismo. Quindi spazi dove si sperimentano modalità di scelta non gerarchiche/verticistiche, dove si tende all’orizzontalità; insomma, nessun* cerca di prevaricare su nessun*. 

Piccolo remind: non tutti i centri sociali hanno questo approccio! Altri condividono alcune modalità di autogestione, alcuni principi e alcune lotte, tuttavia accettano una gerarchia interna, più o meno dichiarata. 

Molti centri sociali non si rifanno al pensiero e le pratiche anarchiche: provengono per esempio dal pensiero dell’ “Autonomia Operaia”, movimento controegemonico post-sessantottino, da cui derivano (per ideologia e prassi comune) vari gruppi “autonomi” attivi in diversi centri sociali italiani oppure provengono da altri movimenti della sinistra extraparlamentare, come ad esempio l’areadisobbediente (storicamente attiva nei centri sociali del Nord Est)

Reminder: la storia dei movimenti sociali e politici è lunga e complessa, e sicuramente non lineare! Se volete approfondire ci sono tanti opuscoli, libri e tante belle chiacchere!

Cosa è un Centro Sociale Autogestito?

Avete presente i centri sociali di quartiere, dove si radunano i vecchietti, o si fanno attività per il quartiere? Oppure gli storici “dopolavori”? 

Ecco. I “centri sociali autogestiti”  hanno un po’ la stessa funzione, solo che in questo caso le persone che lo occupano, lo abitano e lo gestiscono collettivamente, non aspettano che gli venga offerto un servizio, ma creano in modo collaborativo uno spazio di attività, di programmazione politica, culturale e controculturale, uno spazio di ospitalità e di accoglienza. Sono spazi in cui fare socialità attraverso cultura, musica, sport, politica, attitvità laboratoriale, ecc… Sono il risultato di una progettazione collettiva, in cui si può sperimentare la fruizione di uno spazio in un modo diverso, senza profitto né mercificazione, e che sono laboratori di alternative di convivenza e di trasformazione sociale.

Un centro sociale autogestito è uno spazio comunitario, frequentato e autogestito da individui che condividono tra loro degli stessi principi (in questo caso anarchici), che oltre a organizzare le attività al suo interno, lo frequentano, lo sostengono, lo proiettano politicamente con decisioni prese collettivamente, interagendo con la comunità del quartiere e la città. Lo si potrebbe immaginare come una casa liberamente attraversabile gestita collettivamente da decine, centinaia di persone, una comunità.

Un termine che potrebbe dare l’idea è “bene comune”, ma si tende a non usarlo, visto che negli ultimi anni è spesso stato usato in modo inopportuno svuotandolo del suo significato originale [1].

[1] Approfondimenti possibili sulla questione beni comuni in relazione alla questione degli spazi Da A rivista anarchica anno 50 n. 5 giugno 2020 Tobia D’Onofrio Centri sociali e istituzioni/ Riflessioni da Napoli http://www.arivista.org/?nr=444&pag=73.htm#4 Oppure Giuseppe Aiello Quale deserto fegato, ed. La fiaccola, 2020)

Ahimé nella nostra parte di mondo, spazi di questo genere sono difficili da immaginare. Sono fuori dagli schemi mentali dei più, perchè siamo così abituati a pensare individualmente, nel ristretto spazio familiare o della proprietà privata, che pensare ad uno spazio fisico come uno spazio comunitario, e non quindi di una persona o di un’esercizio commerciale (proprietà privata), è oggi giorno un pensiero incredibilmente inimmaginabile! Sì, pensare ad uno spazio come la casa di tante persone che si possono incontrare liberamente e organizzarsi proprio come nelle proprie case (se nelle proprie case c’è Libertà!), sembra assurdo.

Nella società italiana attuale, i luoghi realmente pubblici sono rarissimi. Oltre alle piazze, ai parchi, quasi non esistono spazi in cui le persone possono entrare liberamente per incontrarsi senza essere costretti a spendere soldi. Spesso, per edifici pubblici, si fa riferimento a scuole, ospedali, chiese, ecc.., ma questi sono spazi pensati per attività specifiche dove comunque il singolo è soggetto a una predisposizione dello spazio che non può scegliere, a cui non partecipa propositivamente, in cui le relazioni e il mutuo aiuto non viene messo in primo piano, e in cui, insomma, il grado di libertà delle persone è fortemente limitato.

 

Perchè i centri sociali spesso vengono chiusi o sgomberati?

I centri sociali occupati o autogestiti spesso sono in conflitto con le istituzioni.

Pur portando avanti numerose attività sociali, politiche e culturali che spesso trovano il sostegno del quartiere e della comunità che lo frequenta, i centri sociali vengono spesso sgomberati – quando occupati – o chiusi. 

Quasi sempre non esistono leggi che permettano a questi luoghi di esistere per come sono. In particolare, la norma principale che confligge con essi è il fatto che le istituzioni pretendono che ci sia una o più persone giuridicamente responsabili dello spazio (intestatar*).

Nei centri sociali autogestiti non vi sono delle persone fisiche o persone giuridiche che sono intestatarie dello spazio, ma c’è una responsabilità collettiva e diffusa. Avere intestatari* comporterebbe che solo poche persone dovrebbero prendersi la responsabilità di tutto quello che avviene all’interno dello spazio, creando di fatto dei ruoli di potere e delle gerarchie. Sentendosi più implicate di altre, queste persone  avrebbero un ruolo più importante nella gestione dello spazio a discapito dell’orizzontalità a cui si vorrebbe tendere, e si modificherebbero drasticamente i principi sui cui si basano le modalità organizzative dello spazio. 

Sicuramente anche un’altra riflessione bisogna porre, ovvero nei C.S.A. solitamente vengono portate avanti molteplici battaglie politiche che non piacciono a molti poteri forti, di conseguenza se ci fosse un* firmatari* avrebbe molti occhi indiscreti puntati addosso.

Per dirla meglio, molt* occupanti dei centri sociali preferirebbero non avere leggi esterne che regolamentino questi spazi, perchè si possa decidere internamente quali regole adottare, sulla base di un accordo comune a tutte le persone che lo frequentano, lo vivono, lo abitano.

Immagina che bello: avere la possibilità di incontrarsi  in luoghi in cui c’è libertà di sperimentare modalità di gestione, luoghi che siano delle isole in cui praticare modi alternativi di vivere, buchi neri dove la normale legislazione dello stato sulla gestione degli spazi si prende una pausa.

Al di la di queste questioni legislative, in realtà, quasi sempre le reali motivazioni per le quali i C.S.A. vengono sgomberati/chiusi non sono esplicitate. Le reali motivazioni spesso si trovano in decisioni prese da strutture di potere istituzionali, economiche e politiche che si intrecciano fra di loro. Fra grandi interessi economici verso l’edificio in cui risiede il C.S.A. o interessi politici. Per interessi politici si intende il fatto che la politica locale (il partito al governo, il sidaco ecc..) preferisce non avere in città movimenti liberi di crescere con un proprio pensiero critico.

Da qui le “autorità” locali, nella figura del governo/provincia/regione/comune/procura/amministrazione/polizia spesso inventano storie per sgomberarli: “sono edifici pericolanti”, “sono contesti socialmente degradati”, “sono edifici occupati abusivamente”, “dobbiamo farci un co-housing/una ferrovia/un impianto di risalita/una scuola/una sede dell’università ecc..”. 

Dove finiscono i soldi che si guadagnano dentro un centro sociale?

Nel momento in cui si pensa ad uno spazio come una casa collettiva risulta normale pensare di poter vendere le cose al suo interno senza fare scontrini. Ovvero come immagineresti degli scambi fra coinquilini? Ogni prezzo di vendita è fermato al prezzo della materia prima, senza maggiorazioni per guadagnarci.

Per essere più precisi i prezzi di vendita – pur cercando di lasciarli bassissimi- vengono maggiorati di un poco per poter pagare con il surplus eventuali bollette e i costi di gestione dello spazio. Quando i soldi guadagnati sono molti di più di quelli utili a coprire i costi dello spazio, è prassi comune quella di donarli a cause politiche che si ritengono vicine al percorso dello spazio o ad attivist* politic* che sono costrett* ad affrontare processi giudiziari.

Solitamente tutte le attività al suo interno sono gratuite, anche se per alcuni eventi si mettono dei piccoli prezzi di ingresso (a offerta libera o comunque solitamente inferiori a 5€) per poter sostenere i costi dell’evento (rimborsi viaggio per artist*, piccoli cachet per gli/le artist*..) o per donare i soldi in solidarietà a determinate cause. I costi di ingresso (per far capire il mood generale) non vengono richiesti tassativamente come in un locale, se una persona non ha i soldi per l’ingresso, viene fatta entrare lo stesso. 

Alcuni centri sociali (spesso nelle città più grandi) vengono frequentati da ingenti numeri di persone generando così cospicui guadagni. Questo provoca – da parte di chi non conosce le modalità di gestione del denaro al loro interno- accuse pesantissime, come quella di intascarsi grosse somme di denaro per proprio beneficio o profitto.

Chiunque abbia partecipato all’organizzazione e alla vita interna – gestionale e politica- di un centro sociale, sa benissimo che intascarsi soldi destinati alla collettività sarebbe una delle infamie più riprovevoli di cui essere accusat*. Sì, certo, alcuni grandi centri sociali in taluni eventi guadagnano molti soldi, ma ho potuto constatare come i grandi centri sociali richiedono ingenti somme economiche per la manutenzione degli stabili o le bollette e comunque, come già detto, quando ci sono soldi in eccesso vengono donati alle cause che si ritengono meritevoli.

Se non si fosse ancora capito, nessuna delle persone che partecipa ad un centro sociale guadagna soldi! Non ci sono redditi e tutto quello che si fa al suo interno lo si fa per la collettività. Ore e ore impiegate a pulire, sistemare attrezzature, tubi rotti, gestione del bar ecc… tutto per la collettività.

E’ giusto precisare che esistono centri sociali in cui le persone che impiegano maggiori forze viene dato un piccolo reddito (usualmente chiamato auto-reddito), questo comporta ingenti modifiche e problematiche gestionali per cui la maggior parte dei centri sociali preferisce non intraprendere questa strada.

Perchè i centri sociali sono sporchi?

Come si è letto dalle righe antecedenti, nessun* guadagna dentro uno spazio sociale.

Immaginate quante ore libere abbiamo nell’arco di una settimana dopo il lavoro; ecco, queste ore libere, le attivist* le dedicano oltre che a pulire e gestire casa propria e magari a gestire una vita! …a sistemare un intero edificio che viene frequentato continuamente da persone ed è facile capire perchè molte cose al suo interno possano rimanere in disordine. Non ci sono persone pagate addette alle pulizie! Vorresti che non fossero così in disordine? Bene, entra nello spazio e con il tuo tempo a disposizione sistemale!

 

Come è organizzato un centro sociale?

I centri sociali sono gestiti tramite assemblee, le quali possono essere frequentate da chiunque abbia intenzione di partecipare. Solitamente c’è un giorno fisso a settimana in cui avviene l’assemblea di organizzazione dello spazio. Al suo interno poi possono nascere anche sotto-assemblee di altri collettivi che portano avanti attività in alcune stanze (collettivi musicali o d’arte, collettivi di ecologia, collettivi di artigianato, ciclofficine, sartorie, collettivi sperimentali di tecnologie, scuole di lingua con stranieri, ecc… ). Ognun* può decidere di creare laboratori, corsi, organizzare eventi, officine o qualunque cosa si immagina! Poter quindi determinare le proprie vite nel concepire tante attività senza esser costrett* ad aprire un’azienda, un’associazione, una partita IVA.

Certo a volte le assemblee non sono facili, spesso sono molto eterogenee (per fortuna!) e trovare un consenso comune non è semplice, ma negli anni si sono studiate varie procedure per facilitare questi processi. Oggi giorno ci sono molte letture che portano avanti questi temi. Una delle metodologie più utilizzate all’interno dei centri sociali è quella che viene definita “Metodo del Consenso”

https://it.wikipedia.org/wiki/Metodo_del_consenso

I centri sociali pagano l’affitto e le bollette?

Pagare l’affitto comporterebbe un pericoloso cambiamento all’interno del centro sociale. Questo per varie ragioni: prima di tutto se ogni mese un centro sociale è costretto a pagare ingenti somme per l’affitto, sarà costretto ad organizzare eventi per recuperare questi soldi, costringendo così persone che già impiegano molto del loro tempo all’interno dello spazio, a doversi preoccupare di come racimolare quel denaro, spesso portando avanti attività non di loro interesse, finalizzate al profitto. Capite anche voi che questo avvicina lo spazio alle modalità di una qualunque attività economica, quindi un’azienda dove la gente lavora e non un spazio autogestito e di autodeterminazione dove le persone sono libere di incontrarsi e portare avanti i propri interessi di vita.

E’ necessario pensare a questi edifici come spazi di nessun* e di tutt*.

Un affitto, fra l’altro, costringerebbe (per la legge italiana) ad avere dei referenti firmatari del posto con le responsabilità di cui abbiamo parlato precedentemente.

Dunque, per fare chiarezza, alcuni centri sociali sono costretti a pagare le bollette, mentre altri no. Gli spazi che pagano le bollette potrebbero faticare a mantenere lo spazio in linea con la libera auto-organizzazione e fruizione gratuita dello spazio.

In molti dei centri sociali “legalizzati” (sì esistono anche centri sociali legalizzati, nel capitolo successivo spiego la questione), è spesso il comune stesso a pagare le bollette per il centro sociale.

 

“Pagate l’affitto come fanno tutti! Delinquenti, andate a lavorare!”

A volte sentiamo frasi di questo tipo. Per tutte le ragioni sopra elencate, il non pagare l’affitto è una necessità per il bene comune. I luoghi occupati non sono mai scelti a discapito di piccoli privati, ma di grandi multinazionali o enti pubblici che lasciano in disuso edifici dello stato/regione/comune per molto tempo.

Occupare non è una passeggiata divertente e rilassata. Al contrario, comporta  grandi difficoltà che si è comunque disposti ad affrontare grazie alla forte determinazione di alcune collettive. Si è dispost* a rischiare denunce, a dormire in condizioni molto precarie, al freddo, all’umido, ad impegnare tutte le proprie energie in questa strada pur di cercare di mantenere aperti dei luoghi di libertà e di autodeterminazione: i centri sociali. Ovviamente, contemporaneamente a questo impegno, ogni persona che partecipa attivamente a un’occupazione, deve avere anche il tempo per guadagnarsi da vivere.

 

“Occupare è illegale, per vivere in una società c’è bisogno di regole. E se tutti si mettessero ad occupare? Che succede?”

Non possiamo chiuderci gli occhi pensando che tutto quello che è illegale sia veramente illecito.

Per capire meglio il concetto proviamo a fare un esempio ragionando per assurdo: ipotizziamo che tutti i proprietari delle case di una città decidessero di punto in bianco di non affittare più ai residenti, costringendo così migliaia di persone a vivere per strada; ipotizziamo poi che un gruppo di persone tra quelle sfrattate, si organizzasse collettivamente e trovasse un grande edificio di proprietà di una banca, lasciato vuoto da decenni, e decidesse di andarci a vivere…È un azione lecita o illecita?

Anche se non consentita dalla legge, possiamo ritenerla un’azione legittima come risposta ad una violenza strutturale e subita?

Questo esempio non è in realtà così assurdo: il costo delle case, in molte città di Italia e del mondo è aumentato a dismisura. Talmente tanto che negli anni l’affitto di una casa è diventato inaccessibile per molte persone (anche molti lavoratori!), costretti a vivere per strada e per cui l’occupazione abusiva di edifici vuoti diventa spesso una scelta necessaria.

Si potrebbe ribattere: “Ma perchè non vanno a vivere in campagna, o in montagna dove i prezzi sono più bassi!?”. Chi sceglie di rimanere a vivere in determinate città, anche in situazioni precarie, lo fa per disparate ragioni: per la presenza di una comunità di riferimento o una rete sociale di mutuo aiuto, per lavoro, per motivazioni familiari, per questioni burocratiche, ecc…

Questo vuole essere solo un esempio per mostrare come atti illegali possano essere leciti e dovuti a condizioni strutturali, ma di esempi come questo potremmo trovarne molti in questa società! Che produce ingiusizie, ma in cui per fortuna le persone si inventano strategie e tattiche di resistenza, anche sconfinando ciò che si intende con legalità.

Del resto cosa vuol dire “legalità”?

Legale è ciò che rispetta regole scritte da esseri umani, da partiti politici (a volte di deriva esplicitamente fascista), da un parlamento composto da politici che in alcuni casi non raccomanderemmo a nessuno. Possiamo davvero affermare che tutte le leggi siano state scritte per il bene comune? Che tutti i disagi di un paese, composto da milioni di persone, siano coperti da queste leggi? Da questa burocrazia?

Ebbene, noi affermiamo invece che esistono azioni illegali utili a generare bene comune.

Ora, qui si ritiene che per le varie ragioni spiegate in questo opuscolo (orizzontalità, leggi che non permettono la libera associazione fra le persone in edifici ecc..) sia giusto occupare stabili vuoti per dar vita a spazi realmente pubblici, a centri sociali (e certo, occupare per poter aver un tetto in cui dormire può essere vista come una ragione ancor più nobile!).

Bisogna anche puntualizzare che vige un’etica nella scelta dei luoghi da occupare: si cercano edifici abbandonati di proprietà di multinazionali, di grandissime aziende o della pubblica amministrazione. Gli edifici di piccoli privati non verranno mai occupati, quindi a te lettore (si dico a te!) stai sereno! non verrà mai occupata la casa in cui dormi! o lo studio in cui lavori! Si rispetta sempre chi vive già in un luogo: ovviamente se in un edificio abbandonato ci vivono già dei senzatetto, non lo si sceglie.

 

Tutti i centri sociali sono occupazioni di stabili?

Per molti centri sociali, per riuscire a gestire gli spazi come indicato precedentemente, quindi non pagare un affitto e non avere alcune persone che si sobbarchino ingiustamente tutte le responsabilità, si è costrett* ad occupare spazi abbandonati. Fra l’altro quale miglior cosa ridare vita, quindi riciclare spazi in disuso a costo zero? Dalla polvere riempire un edificio di cuori pulsanti assetati di vita. Spesso questi luoghi morti rinascono diventando i luoghi più vitali della città! Che questa illegalità in realtà sia un’ottima cosa?

Esistono comunque centri sociali che sono riusciti a mantenere la loro purezza pur diventando “legali”, raramente questo avviene, ma in alcune città alcuni centri sociali sono riusciti a strappare al comune concessioni che non hanno compromesso la loro purezza. Questo comunque è un argomento molto delicato, di cui si potrebbe parlare molto perchè spesso i centri sociali che si sono legalizzati, sono cambiati drasticamente. Il processo di legalizzazione è dettato da forti pressioni istituzionali, sotto forma di minacce di sgombero o denunce. Tutto ciò quasi sempre impone il rispetto di norme che vanno a modificare le modalità di autogestione, dando luogo alla perdita di molta della loro purezza, spontaneità e quindi bellezza.

 

Cosa si intende per Autogestione?

All’interno dei centri sociali riecheggia spessissimo questa parola “Autogestione”, ma cosa vuol dire? In realtà è semplicissimo, indica poter gestire da sè l’organizzazione di uno spazio senza delegare a nessun altr*. Le individualità si impossessano dell’attività gestionale dell’edificio organizzandosi tramite assemblee, promuovendo la cooperazione e la creatività dei singoli individui. Può sembrare banale, ma se pensate alla strutturazione di questa società, in quasi qualunque ambito ci sono strutture gerarchiche che comandano molteplici aspetti delle soggettività.

I collettivi che nascono all’interno dei centri sociali a loro volta cercano di gestirsi senza avere persone di riferimento. 

Ad esempio in una ciclofficina autogestita, ogni persona che si ripara la bicicletta può farsi aiutare da una persona più esperta che incontra li per caso, poi quando lei stessa sarà più esperta potrà insegnare alle altr*. Stessa cosa per un collettivo di yoga, gli/le più espert* insegnano e piano piano gli/le alliev* diventano maestr* senza sobbarcare una persona della responsabilità di dover essere presente ad ogni appuntamento o dover prepararsi lezioni. L’imparare anche a fare le cose (che sia informatica, che sia artigianato, che sia cucina, cucito, autoproduzioni di saponi ecc…) è nell’ottica di poter essere autosufficienti senza dover dipendere (e quindi pagare) altre persone, o anche di autoprodurci cose in modo più etico.

Invece di lamentarti per la mancanza o la necessità di qualcosa all’interno dello spazio puoi chiederti come potresti migliorarlo o quali sono le attività che potresti tu iniziare!

Puoi darti da fare in ogni momento per contribuire all’autogestione.

Te la cavi a cucinare? 

Smanetti con i PC? 

Sai aggiustare una perdita d’acqua?

Suoni la tromba?

Hai una passione per gli scacchi? 

Non devi essere espert* di qualcosa (o se lo sei puoi decidere di condividere quello che sai o che ti piace).

Soprattutto avere voglia di iniziare! 

 

Termini chiave dei centri sociali: antirazzismo, antisessismo, antifascismo

Nei centrisociali rieccheggiano sempre questre tre parole, parole cardine che indicano i punti base da cui far partire le modalità di vita e pratiche al suo interno. Da qui ovviamente mille altre tematiche e lotte si connettono. Come anticapitalismo (questa oserei dire quasi sottintesa), antispecismo, antiabilismo, antiproibizionismo, ecc…

 

Se qualcun* si fa male? Chi è il responsabile?

Partiamo con alcune premesse.

Come é già stato scritto, nei C.S.A. si praticano modalità di organizzazione diffusa affinchè la responsabilità sia il più  possibile collettiva.

Per ogni attività, tutte le varie decine di persone che si occupano della gestione dello spazio e in generale tutte le persone presenti, si preoccupano di risolvere gli eventuali problemi che potrebbero esserci senza delegarli a un gruppo ristretto di persone (come succede nei locali).  Inoltre si cerca sempre di responsabilizzare anche chi attraversa lo spazio, sia l* frequentanti abituali sia chi è lì per le prime volte.

Certo, il grado di consapevolezza di ogni persona varia in base al proprio passato,  alle proprie sensibilità, al proprio grado di esperienza di autogestione e di vita collettiva. 

Questa modalità di responsabilità diffusa, porta ad avere molti più occhi vigili su quello che avviene all’interno dello spazio. 

Per esempio, durante gli eventi musicali notturni dei C.S.A. non sono mai presenti “buttafuori” eppure il numero di risse al loro interno è ben minore dei locali “legali”. Questo può far riflettere!

In un C.S.A non c’è un controllo all’ingresso che decida a priori se si può entrare o meno: se il comportamento di una persona non si adegua alle regole interne dello spazio (antisessismo, antirazzismo, antifascismo), o è percepito come aggressivo, offensivo, violento nei confronti di altre persone, di animali, di oggetti o dello spazio stesso, si può decidere di intervenire parlandone direttamente con la persona, spiegandole i motivi per cui il suo comportamento è risultato fastidioso o inopportuno. 

Ugualmente, in chiusura di una serata nel C.S.A. anche se si è tutt* stanch*, non capita di essere cacciat* via con la scusa che “si deve chiudere” ma piuttosto si fa notare che inizia ad essere tardi e che sarebbe meglio andare a casa (o se ci si vuole  fermare ancora, è per aiutare a pulire!). 

Questo tipo di modalità responsabilizzano, spingono ad autoregolarsi, a rispettare lo spazio, la sua filosofia e le persone che lo attraversano. 

Un’altra constatazione che si può fare, ad esempio, è che nei C.S.A. c’è una maggiore consapevolezza riguardo all’uso di sostanze psicoattive legali ed illegali (“droghe”). Queste sostanze sono sempre state e sono tuttora presenti in tantissimi spazi (discoteche, locali, bar, luoghi di lavoro, parchi ecc…), ma quasi solo nei C.S.A. si cerca di far sviluppare una coscienza critica rispetto alle scelte di vita e di auto-gestione del proprio tempo, corpo, salute, attraverso: volantini informativi, test rapidi sulle sostanze, punti di ascolto, luoghi di decompressione ecc.. Questo ha permesso ai C.S.A. di avere spesso molti meno problemi nella gestione di persone che hanno assunto sostanze di tanti altri spazi considerati “legali”.

Nell’attuale società italiana (ma diciamo anche nella maggioranza delle nazioni occidentali), il numero di norme volte alla prevenzione di possibili calamità durante gli eventi pubblici è sempre in aumento. Svolgere una qualunque attività culturale pubblica non a scopo di lucro, che rispetti tutte le norme fissate dallo stato, è quasi impossibile! I/le president* di associazioni spesso sono costrett* semplicemente a cercare di “limitare i danni” il più possibile e far finta di niente per le norme che non si stanno rispettando. 

Questa modalità “grigia”, oggi giorno è spesso l’unica via per poter far qualcosa. 

Si potrebbe quasi dire che l’attuale società soffre di un ingessamento dato da eccessiva paranoia; molte manifestazioni non si possono più svolgere per colpa di varie norme. Prendersi un minimo rischio consentirebbe di poter fare una miriade di attività in più!

Da qui la necessità di avere spazi dove l’autogestione possa dare libero sfogo alla voglia di fare nelle proprie vite. Altrimenti per moltissim* l’alternativa è il nulla. 

Le persone che decidono di entrare in un C.S.A. sanno bene dove stanno entrando, è una loro decisione consapevole mettersi a confronto con il “rischio” di questi spazi.

E ripetendo, non si ritiene giusto responsabilizzare poche persone per tutto quello che succede dentro ad un C.S.A., perchè come abbiamo visto ciò cambierebbe drasticamente la sua natura.

Per ora, in decenni di vita dei centri sociali, non sono mai accaduti disastri tanto più pesanti rispetto ai locali (anzi). E se anche in vari decenni di vita dei C.S.A. dovesse accadare una calamità, questo non ci farà cambiare idea sul diritto di questi spazi ad esistere e resistere con queste modalità.

La “strana” fauna dei centri sociali

I centri sociali autogestiti, solitamente, sono animati da persone molto variegate fra loro o da persone che possono sembrare “strane” ai più. Le ragioni sono molteplici e complesse. Qui si può solo provare a dare qualche spunto.

Questi spazi attirano persone per svariati motivi: persone che trovano la possibilità di creare o partecipare a laboratori nelle modalità sopra elencate, persone che non si sentono discriminate o giudicate negativamente per le loro caratteristiche, persone che vogliono portare avanti una vita alternativa da quella dei più, persone che trovono interesse in alcune battaglie politiche portate avanti dello spazio, artist* che ci trovono libertà di espressione.. le ragioni possono essere veramente delle più disparate.

Il dare libero accesso ad uno spazio, il portare avanti un’idea anticapitalista e quindi in contrasto con logiche competitive o di esclusione economica, permette a una molteplicità di persone di incontrarsi e fare cose che altrimenti non avrebbero mai potuto vedere la luce. Per loro natura i C.S.A. si ritrovano spesso vicini a persone escluse dalla società o agli strati meno abbienti della popolazione, da qui una normale predisposizione della gente ad indossare un vestiario non di lusso (che non significa che una persona con la camicia o “ricca” si debba sentire non accettata o attaccata). 

Non ci si vuole dilungare su queste considerazioni, questo opuscolo non vuole fare uno studio antropologico sulle persone che attraversano i C.S.A. , ma dare solo delle chiavi di lettura per poter comprendere meglio questi spazi. 

Per approffondimenti “Il cerchio e la saetta” di Andrea Tiddi

https://archive.org/details/il-cerchio-e-la-saetta/page/16/mode/2up

Puoi scaricare questo testo in formato PDF da qui: CENTRI SOCIALI FOR DUMMIES.
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Questo testo è libero, puoi stamparlo, fotocopiarlo e regalarlo ai tuoi familiari, ai tuoi coinquilini o a chi credi.

Per ulteriori informazioni, suggerimenti o possibili ampliamenti scrivi a centrisocialifordummies@inventati.org

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Ultimo aggiornamento 22/02/2024 (ver 1.1)

 

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Vuoi altri strumenti ancora? Lista (in fondo all’articolo)

Perchè crearsi una mail non commerciale

Questo articolo è un invito/sensibilizzazione all’utilizzo di mail non commerciali.

Ecco qualche ragione:

  • Le comunicazioni non possono essere “sicure” se un anello della catena è debole!
    Le email commerciali sono anelli deboli, seppur con gradi diversi. Chiedete ai vostri nerd locali esempi di come queste diano allegramente accesso a governi oppure si fanno bucare esponendo a rischi i contenuti circolati.
  • Proprietà dei mezzi di produzione e autorganizzazione.
    Supporti la diversità, biodiversità, bibliodiversità, molteplicità, autodeterminazione, autogestione, km 0, DIY e le tue idee e comunicazioni le regali alle grosse multinazionali perchè “Google contiene tutti gli strumenti che mi servono”?
  • Magari voi non avete “niente da nascondere” o “non siete pericolosi/interessanti” però altre persone con cui comunicate lo sono ed è giusto rispettare chi non vuole che le sue comunicazioni sensibili diventino raggiungibili grazie ad email commerciali. Inoltre “non avrete nulla da nascondere”, ma intanto informazioni e metadati delle vostre comunicazioni verranno profilati per il lucro di grandi multinazionali contribuendo grazie al vostro silenzio-assenso ad ingrassare algoritmi commerciali sempre più specializzati.

Se non ce l’avete è l’occasione perfetta per farlo:

Autistici: https://www.autistici.org/get_service

poi ci sono quelle a token:
https://account.riseup.net, esiliati.org, porcod.io, ventuordici.org, per attivarle dovete avereun token/codice invito ovvero, dovete chiedere a qualcuno che ha già un’email loro che ve la crei.

Se non vi basta qua un elenco di tanti altri server: https://riseup.net/en/security/resources/radical-servers

Da qualche parte bisognerà pure iniziare ad opporsi a Google e

compagnia no?

E’ una questione che nella società comune non si prende mai in considerazione. A molti può sembrare una problematica irrisoria, ma vi assicuro che dopo un po’ di tempo che si iniziano ad usare queste tecnologie libere e autogestite, tutto diventa più chiaro, si comprende l’importanza e la bellezza di questi strumenti. Gli strumenti sono importanti quanto il fine, fa tutto parte della stessa cosa.